L’AUTORE NELL’EPOCA DELLA SUA RIPRODUCIBILITA’ TECNICA
Alessandro Sbordoni
Convegno LA MUSICA E LE ALTRE, Roma, Goethe Institut, 30 nov 2002
Riassunto: Dall’affermarsi di una volontà espressiva individuale interpersonale che chiunque oggi, grazie ad avanzate tecnologie elettroniche, è in grado di esercitare al proprio livello creativo, mi sembra di poter inferire una incipiente trasformazione del concetto di autore, che sembra destinato ad evolvere dalla situazione antica e romantica di genio individuale, portatore di un sapere in grado di produrre opere dotate di unicità e durata nel tempo, ad una creatività di nuovo genere, cioè istantanea, momentanea, interattiva e interpersonale, che potrà forse condurre ad una nuova autenticità, a un nuovo hic et nunc.
Walter Benjamin, nel suo celebre scritto cui evidentemente si ispira il titolo di questo intervento, sembra del tutto entusiasta dell’avvento di una riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, foriera di un’arte finalmente di massa, non più elitaria. Per “riproducibilità tecnica”, Benjamin intende proprio il fatto di poter produrre in grande quantità oggetti d’arte come monete, litografie, libri. Col film la riproducibilità penetra addirittura dentro la produzione artistica: un film nasce esattamente come arte di massa, la replica diventa un fattore costitutivo della stessa operatività, perciò il film non potrebbe essere, dati i suoi costi elevatissimi, un oggetto d’arte riservato ad una élite. Contrapponendo un valore cultuale, elitario, ad un valore espositivo, destinato dall’origine a chiunque, Benjamin è tra i primi a rendersi conto che nel fare artistico si è insinuato un concetto importantissimo, fino allora trascurato: il concetto di quantità. Da strumento di magia e contemplazione l’arte acquista così un “nascosto carattere politico” (pag. 29) (1), un nuovo modo di essere, caratterizzato da un flusso associativo del pensiero “subito interrotto dal mutare continuo delle immagini” (pag. 43). Benjamin prende atto che con le moderne possibilità tecnologiche applicate all’arte si è verificato un cambiamento nella funzione stessa dell’arte nella società: da fattore di raccoglimento indotto dall’esposizione di simboli, cioè da una libera dinamica associativa del pensiero, si è pervenuti ad una dinamica di mutazione continua del pensiero stesso, indotta appunto dal rapido succedersi degli oggetti nel tempo. La quantità si è poi trasformata in una nuova qualità: la labilità, mutevolezza e ripetibilità introdotte dalla riproducibilità tecnica hanno determinato in ultima istanza un’importante trasformazione dell’opera d’arte moderna. Da “OPERA” dotata di stabilità temporale (“aere perennius”) perché incarnante un sistema forte di valori, l’opera d’arte si è fatta sempre più dinamica, alla portata di chiunque, sempre più aderente al quotidiano piuttosto che all’eterno. Nel suo passaggio dal sancta sanctorum del tempio, riservato per secoli al solo sacerdote che poteva osservarla soltanto in particolari momenti rituali, alla foto di copertina del rotocalco a quattro colori, la statua della dea non sembra più suscitare gli stessi effetti. La sua nudità è destinata ad altri “istinti”, e ciò avviene per molte persone, quasi contemporaneamente e per un tempo limitato, fino all’uscita della copertina successiva. Di qui la questione che intendo affrontare qui, mutuando il titolo del saggio di Benjamin: quali trasformazioni ha indotto e sta inducendo nel concetto stesso di “autore” questa evidente trasformazione dell’opera d’arte, già evidente all’inizio del secolo scorso e così bene evidenziata dal filosofo tedesco? In altre parole, se un’opera d’arte destinata ad una élite, ispirata a valori forti e realizzata con caratteristiche destinate a durare nel tempo richiedeva un tipo di artista, cioè di autore, cui, come ben sappiamo, sono state attribuite di volta in volta doti di “genialità”, “mistero”, “alto artigianato”, “ispirazione”, quali saranno invece le doti di un autore in grado di produrre un oggetto artistico ma d’uso, calato il più possibile nel quotidiano, vòlto all’entertainment invece che all’ispirazione di “alti” pensieri e sentimenti? Quell’autenticità, quell’hic et nunc, quell’aura che Benjamin felicemente si augura di congedare dalla produttività artistica sono destinate a scomparire, relitti di un passato destinato al museo, sostituite dai flussi di pensiero caotici e trasgressivi delle moderne forme d’arte, o devono invece accogliere la sfida della nuova producibilità e riproporsi in altre forme? In che modo insomma cambia la figura dell’autore, al quale non si chiede più di approntare simboli dal profondo di se stesso e dalla natura, ma appunto di riproporre e interpretare il veloce rifluire di un pensiero “emancipato” e finalmente moderno? Come vedremo, la figura dell’autore si è già alquanto modificata non soltanto rispetto all’operatività artistica “classica”, ma anche rispetto allo stesso mondo della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, caratterizzato in fondo da una buona dose di reificazione della produttività artistica, che ha messo in crisi proprio l’idea di opera. E’ lecito allora chiedersi se è possibile scorgere una linea evolutiva che, superando anche il mondo della riproducibilità tecnica, conduca ad un concetto di autore svincolato dall’alienazione, capace di una nuova autenticità? Uso non a caso il termine “scorgere”, perché mi pare che, se pure esiste una linea di sviluppo di tal genere, rimane ancora per il momento abbastanza nascosta nelle pieghe della creatività artistica attuale, del tutto scissa tra pensiero ed energia, tra ricerca di alto profilo intellettuale e mercato. Se Benjamin sembra aderire con entusiasmo anche politico oltre che estetico all’idea di un’arte nuova, di massa, dotata di movimento, interprete del mondo reale e non solo proiettata in uno sterile quanto nostalgico elitarismo, mi sembra necessario per contro sforzarsi di esaminare la situazione con la maggiore equanimità possibile, senza dare per scontate né le equazioni “arte di massa = arte deteriore”, che spesso si accompagna con “arte elitaria e antica = sublime”, né le eventuali equazioni contrarie. Bisogna anche tener conto che, rispetto al momento in cui Benjamin scriveva, la situazione della producibilità artistica, e della sua riproducibilità tecnica, ha subito altri notevoli cambiamenti, dovuti al grande accrescimento dell’industria culturale su scala mondiale, ad una maggiore possibilità di circolazione delle idee e dei prodotti delle singole realtà culturali, anche etniche, e infine al web informatico e alle nuove tecnologie applicate sia direttamente alla produttività artistica sia alla sua comunicabilità. La tecnologia elettronica sta ad esempio svuotando di senso un certo tipo “individualistico” di creatività, sia pure non coinvolgente per ora, almeno in maniera sistematica, ambiti artistici. Rispetto al momento descritto da Benjamin, sono oggi possibili un hic et nunc, dunque un qualche tipo di autenticità, ad esempio in una qualunque chat in linea sul mio computer. A parte che non è detto che le chiacchiere via internet debbano essere per forza cascami della comunicazione interpersonale, l’interazione permessa dalla tecnologia elettronica in diretta potrebbe in via di principio anche spingersi a coinvolgere artisti, poeti, musicisti, scrittori, o comunque persone interessate ad un qualche tipo di creatività in rete. A prescindere dalla qualità e dal livello dei contenuti, viene così permessa un’autenticità nuova e diversa, a patto che l’atto creativo si trasferisca sul piano dell’interpersonale. Una creatività in rete, se ha senso, pone tutti i partecipanti sullo stesso piano, quali soggetti di una interazione creativa. Essa possiede le doti dell’istantaneità e dell’interazione appunto, due caratteristiche molto rilevanti per il fare artistico contemporaneo. L’interazione istantanea richiesta dalla comunicazione tra più computer in rete è in grado di indurre nell’operatività artistica una nuova possibilità di hic et nunc, che può risultare davvero notevole sul piano dell’invenzione. Qui si intravede appunto una possibile tendenza al tramonto di un tipo di artista tradizionale, geniale individualista e solitario. Avrebbe certamente senso, nel collegamento tra più computer di cui sopra, assistere ad un Picasso che disegni in diretta, “divertendosi” lui solo mentre gli altri “stanno a guardare”: ma non credo che la cosa potrebbe andare avanti per molto, prima o poi si farebbe avanti qualcun altro, anch’egli desideroso di disegnare, di far valere le sue doti, di proporre la diversità delle sue attitudini. Sicuramente la diretta televisiva di un evento è una possibilità nuova e notevolissima, è una “riproducibilità istantanea”, che avviene simultaneamente anche per milioni di persone, ma non coinvolge nessuno sul piano creativo-operativo. Come un film, è un flusso di eventi ai quali si assiste senza poter intervenire in alcun modo. La tecnologia informatica sembra invece indirizzare verso un tipo di creatività collettiva e istantanea, avviando alla scomparsa dell’autore unico, individuale, e soprattutto di un’opera definitiva, data una volta per tutte. La stessa riproducibilità dell’opera d’arte verrebbe messa in crisi, dato che in modo collettivo e istantaneo più persone “si” approntano l’opera, il manufatto, le parole che servono loro in quel momento. In un altro momento, ne appronteranno altre. Ecco qui che si delinea già abbastanza chiaramente un aspetto della problematica qui introdotta: se l’”opera d’arte” (a questo punto le virgolette sono obbligatorie) diventa istantanea, momentanea e collettiva, che ne è dell’immagine e della consistenza del concetto di autore? A chi andranno, concretamente, i diritti d’autore? Si dirà: alla collettività che li ha prodotti. Ma se alle caratteristiche di istantaneità e collettività si aggiunge anche quella della momentaneità, se ad ogni momento ed occasione il gruppo si appronta l’opera che meglio interpreta la sua situazione rendendo effimera l’opera stessa come certi disegni indù tracciati sul terreno, sarà necessario identificare dell’opera non più alcune caratteristiche concrete, come una partitura o quei determinati strumenti, ma l’ambito stesso della sua operatività. Già la SIAE accetta delle registrazioni per attribuire diritti alle musiche improvvisate: probabilmente in alcuni casi bisognerà andare oltre, e attribuire diritti al semplice PROGETTO di una data operatività. Riprendendo Benjamin, ciò che qui interessa è prendere atto che secondo lui in realtà si svuota di autenticità proprio una data condizione dell’atto creativo, quella appunto della creazione individuale unica e “geniale”. Il dato quantitativo introdotto dalla riproducibilità dell’opera d’arte ha portato al declino di un certo tipo di autore e di creatività, alla “decadenza dell’aura” che l’opera d’arte tradizionale possedeva grazie ai modi con cui era prodotta e fruita. Nel mondo moderno è intervenuto un cambiamento nel modo di percepire le opere d’arte, gli oggetti stessi del mondo. Molto acutamente Benjamin annota: “La liberazione dell’oggetto dalla sua guaina, la distruzione dell’aura sono il contrassegno di una percezione la cui sensibilità per ciò che nel mondo è dello stesso genere è cresciuta a un punto tale che essa, mediante la riproduzione, attinge l’uguaglianza di genere anche in ciò che è unico. (…) L’adeguazione della realtà alle masse e delle masse alla realtà è un processo di portata illimitata sia per il pensiero sia per l’intuizione.” (pag. 25). Il cambiamento nella percezione dell’opera, qui messo in evidenza in modo mirabile da Benjamin, avendo cancellato l’antico mondo dell’unicità dell’opera, conduce alla possibilità di nuove o quantomeno diverse condizioni della creatività artistica, che possono anche andare oltre il mondo della riproducibilità stessa, dando nuovamente origine ad una diversa condizione di “autenticità nella quantità”. Una volta scomparsa, grazie alla fase storica della riproducibilità tecnica, la creatività individuale dotata di unicità e durata, diviene infatti possibile un diverso tipo di creatività, di cui per ora è forse appena possibile scorgere l’inizio, rendendosi possibile una creatività collettiva (cioè coinvolgente più soggetti), istantanea, momentanea. Certo la creatività individuale non è scomparsa del tutto, il prodotto unico e irripetibile riconducibile ad un autore-artista singolo continua pur sempre a possedere una sua presenza e una sua fruibilità, come oggetto artistico visivo, come romanzo, come opera musicale o filmica. Credo però che sia abbastanza evidente come, dove non ci siano motivi di riproduciblità, di “commerciabilità” quantitativa del prodotto, 4 tale tipo di creatività sia in crisi, almeno nel senso che gli spazi per questo tipo di operatività vanno sempre di più riducendosi. Non è in gioco una maggiore o minore complessità del prodotto, dell’oggetto, quanto una vera e propria impossibilità, ormai, di affermare una giusta percezione dello stesso da parte di quelle che Benjamin chiama le “masse”. C’è insomma una chiara perdita di funzionalità dell’espressione romanticamente individualistica, a meno che essa non sia collocata in un circuito che ne garantisca un’esistenza quantitativa presso una collettività ampia di fruitori. Prendersela con una pretesa ignoranza dell’uomo massa, sentirsi portatori di una complessità superiore alla media e quindi giustificare ad esempio in tal modo l’assenza di pubblico, non aiuta a cogliere il vero punto della questione. Significa non cogliere il germe della vera novità, il fatto cioè che l’essere-massa non si addice all’uomo, al punto che anche il mondo della riproducibilità tecnica sta entrando in crisi. Nonostante le apparenze sembrino andare in altre direzioni, in realtà le persone sopportano sempre meno un ruolo di non protagonismo individuale, soprattutto nella comunicazione interpersonale, un settore nel quale non a caso si stanno affermando tecnologie come il telefonino, il computer, il web. Che poi questa tendenza all’affermazione individuale di sé possieda connotazioni troppo egocentriche è tutt’altra questione, non affrontabile in questa sede. L’esistenza della chat, come osservavo sopra, è un altro fenomeno molto interessante da questo punto di vista non solo perché rivela una volontà di protagonismo individualistico, ma anche perché porta all’evidenza la possibilità formale di uno scambio comunicativo istantaneo a più voci, che supera il mondo tecnologico della riproducibilità o almeno lo affianca come istanza di fruizione funzionale dotata di una sua autenticità, di un suo hic et nunc, diremmo di un suo “ora, adesso e mai più”. Da qui a fargli acquistare un senso di “artisticità” il passo potrebbe anche essere breve. L’importante è che si apre qui una nuova zona di operatività formale, svincolata sia dall’antico valore cultuale dell’unicità e dell’eternità sia da un valore semplicemente espositivo, caratterizzato dalla passiva percezione di un prodotto quantitativamente riproducibile. Istantaneità e momentaneità sembrano essere le caratteristiche di questa nuova situazione funzionale, insieme con l’interazione di cui s’è detto. Dall’antica unicità, in quel caso sinonimo di irripetibilità quanto a valore espressivo (cultuale), si è passati alla sua riproducibilità tecnica, indispensabile per trasferirne la fruibilità dall’élite alle masse, subendo però così una perdita di aura e trasformandosi in quantità ripetibile in una forma sempre uguale a se stessa, bloccata e fissata una volta per tutte sul piano dell’evoluzione qualitativamente temporale. Fin qui Benjamin. Ma la stessa tecnologia che ha permesso la riproducibilità dell’opera d’arte permette ormai un’espressione comunicativa interattiva, che è invece possibile solo qui e ora: non è ripetibile e non è nemmeno più dotata di unicità essendo interpersonale, in questo appunto superando anche il mondo della riproducibilità, svuotandolo di senso almeno in linea di principio. Ciò che è istantaneo e collettivo, che vive solo in un dato momento per il gruppo di persone coinvolte, per le quali ha valore solo in quel momento, perde necessariamente di interesse nell’essere riprodotto. Tanto più quando ad esso si aggiunga una momentaneità, quando cioè questo atto si estingua nell’istante stesso della sua messa in opera, non essendo così né riproducibile né addirittura ricostruibile, appunto perché coinvolgente più individualità creative, le uniche interessate a quell’atto creativo, nell’atto di interagire in uno scambio comunicativo. Altra cosa sarà il suo essere riproposto, simile ma non identico, in altra occasione. Il “Concerto di Colonia”, un qualsiasi concerto, ma anche una semplice conferenza, sono riproducibili solo a patto di una registrazione, di una fissazione su un supporto “minerale” o digitale, pur essendo replicabili in forma simile, ma sempre un po’ diversa. Ma proprio la sopravvivenza di eventi di questo tipo, replicabili in modo aperto, fa emergere i limiti del mondo della riproducibilità tecnica: perché accontentarmi di ascoltare una cosa sempre uguale a se stessa, replicando un istante che si pretenderebbe “unico”, quando invece posso usufruire dello “spettacolo” di una creatività in atto, per di più in alcuni casi addirittura “in diretta”? La potenza di un concerto rock risiede anche in questo mettere in gioco una grande capacità di spettacolo giocata in maniera istantanea e momentanea, pur riproponendo cose arcinote per la maggior parte dei presenti. Una partita di poker è sempre simile, ma tutte le partite sono sempre diverse, dipendendo l’interesse anche da fattori spaziotemporali esterni alla partita stessa. Una data partita non è “rigiocabile”, perché non sarebbe più un gioco per i partecipanti: sapere fin dall’inizio chi ha il poker d’assi svuoterebbe la partita di significato dal punto di vista del gioco, conferendole anzi aspetti inquietanti. Una partitura classica sarà sempre valorizzata da un’esecuzione dal vivo, con tutti i rischi e il virtuosismo che essa comporta. L’unicità quantitativa del mondo della riproducibilità tecnica può dunque essere superata grazie alla tecnica stessa, anche una semplice chatline costituisce un “prodotto” dotato di istantaneità-momentaneità che va ben oltre il flusso della fruizione “passiva” del mondo della riproducibilità di massa. La questione consiste semmai nel chiedersi come conferire “artisticità”, se ha senso dargliela, a questa situazione ancora puramente funzionale. Se ciò però diventasse possibile, le sue ripercussioni sul concetto classico di autore sarebbero dirompenti. Nonostante l’ottimismo di Benjamin, non ci si deve comunque nascondere che gli ultimi esiti della riproducibilità artistica hanno dato alle cosiddette masse soltanto cascami d’arte, in quanto il mondo della riproducibilità troppo spesso o si è limitato a riprodurre opere d’arte antiche, limitandosi cioè a fissare opere nate con il vecchio valore d’uso di tipo cultuale e le sue trasformazioni nei secoli, o ha amplificato quantitativamente quei fenomeni che più di tutti si sono rivelati disponibili ad un uso e a un consumo immediato. Il mondo della riproducibilità insomma, con l’industria culturale che gli è sottesa, hanno esaltato gli aspetti d’uso dell’arte contemporanea, privilegiando ad esempio la musica “commerciale”, cioè facilmente smerciabile perché circoscritta a situazioni concrete e vendibili (le situazioni), come la discoteca (dance) o il film. Anche questo ha contribuito a corrodere il concetto di autore in senso forte, favorendo l’instaurarsi di un autore in senso debole, cioè un autore che antepone sul piano estetico-stilistico la situazione funzionale di riferimento alla sua propria e personale ricerca di creatività espressiva. In questo senso l’autore ha predisposto la sua stessa riproducibilità tecnica, reificandosi all’interno di un processo produttivoriproduttivo assai poco interessato alla sua espressione personale, cosa che non succedeva con Michelangelo o Beethoven, che venivano invece cercati proprio per la grande abilità artigianale nel soddisfare la committenza. Qui l’autore abdica spesso al proprio artigianato, entrando in un processo produttivo, basato sulla quantità riproducibile, che può essere anche estraneo alla sua personale creatività. Si mette al servizio di una routine, di una ripetitività meccanicistica, di un’operatività collaudata, che “funziona” e assicura “successo” e soldi. Proprio in questo consiste ciò che nel titolo ho chiamato “riproducibilità tecnica dell’autore”. Ciò non toglie che alcuni autori siano ugualmente riusciti ad affermare un loro stile, ma sono eccezioni che confermano la regola della spersonalizzazione dell’atto creativo messo in opera in vista della riproducibilità. Questa alienazione dell’autore nei riguardi di se stesso può avvenire anche in ambiti non commerciali: anzi avviene tutte le volte che l’autore frappone tra sé e le proprie attitudini creative una strategia operativa per dir così opportunistica, in cui la creatività viene comunque predisposta come un mezzo al fine di un ipotetico successo, qualunque esso sia, che consista nell’adeguarsi ad una moda, nella ricerca di piacere a un pubblico, nel suonare “il piffero per la rivoluzione”, come si diceva una volta. Insomma per riproducibilità tecnica dell’autore potrebbero intendersi tutti quei procedimenti in cui l’autore rinuncia ad individuare un’espressione “autentica” di se stesso (talora peraltro illudendosi anche del contrario) adeguandosi astrattamente ad una situazione, in realtà alienandosi, cioè barattando la sua autenticità creativa con istanze situazionali di commerciabilità, moda, opportunismo. Come dicevo, ma ci tengo a sottolinearlo, la cosa non riguarda solo i circuiti commerciali. Ma è possibile che si affermi una nuova “autenticità” in senso forte, la sola che appunto sarebbe in grado di tracciare i contorni di una nuova figura di autore? Volgendo in positivo quelle categorie che Benjamin considera in modo negativo proprio perché le ritiene ormai superate dal contesto storico e culturale, direi che la ricerca di un hic et nunc, di un nuovo e diverso tipo di aura, cioè di autenticità potrebbe oggi consistere nell’interazione creativa istantanea e momentanea di più soggetti. Non mi sembrano qui in gioco un certo tipo di contenuti piuttosto di altri (meglio il jazz, o “la classica”, o l’”etnico”), quanto la predisposizione di una “forma” che però, essendo aperta, mette l’accento soprattutto sulle caratteristiche di interazione, di istantaneità, di momentaneità. Non c’è dubbio che la forma musicale che meglio risponde a questi requisiti sia la forma aperta per eccellenza, cioè l’improvvisazione in tutti i suoi aspetti, con i suoi corollari aleatori, le sue particolari strategie di notazione, le possibilità di interattività live con tecnologie informatiche. L’autore si trova oggi ad un bivio: o ricalcare passi antichi, quelli dell’unicità e della durata tanto per riutilizzare le categorie di Benjamin, e rientrare in un contesto creativo sottoposto a gradi diversi di alienazione, o lavorare all’affermarsi di una creatività istantanea e collettiva, cioè formalmente aperta all’interazione. Come il gruppo di improvvisazione di Franco Evangelisti rappresentava un’utopia circoscritta ai compositori, così oggi mi sembra che stiano nascendo le condizioni di quello che altrettanto utopicamente potrebbe essere considerato un grande gioco collettivo, forse anche “di massa”. Dalla tensione verso una volontà espressiva individuale oggi emergente grazie alle nuove tecnologie elettroniche, mi sembra di poter inferire una incipiente trasformazione del concetto di autore, scorgendo un possibile trend evolutivo verso una creatività di nuovo genere, cioè istantanea, momentanea, interattiva, che potrà forse condurre ad una nuova autenticità, a un nuovo hic et nunc. (novembre 2002)
(1) Tutte le citazioni sono tratte dall’edizione italiana: Walter Benjamin, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, Einaudi, Torino 19666, trad. Enrico Filippini.