Note disco edipan 1985

Pestalozza, note disco Edipan 1985

NOTE DISCO EDIPAN – PAN PRC S20-26 stereo / Edizioni Musicali EDIPAN 1985

Lato A: DEUX, per flauto e pianoforte/ LE PAROLE DEL SILENZIO, per pianoforte/ LES ECHOS ET LES OMBRES, per flauto

Lato B: TELLUS, per contrabbasso/ PAROLE E OLTRE, per nastro magnetico

Interpreti: Giuseppe Scotese, pianoforte; Mario Ancillotti, flauto; Fernando Grillo, contrabbasso (si tralasciano le biografie degli interpreti).

NOTE DI COPERTINA, DI LUIGI PESTALOZZA

I critici trattano i compositori con le parole. Per la musica di Sbordoni mi viene da dire “bisogno della costruzione”. Ma anche, subito, “bisogno dell’improvvisazione”. Sbordoni tiene molto alla sua appartenenza al Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza. Ma non si improvvisa se non si ha un forte senso costruttivo. Penso, allora, anche a Guaccero, perché Guaccero, che non accettava le gabbie formali, che di certo non ha influenzato musicalmente Sbordoni, era un musicista che costruiva anche lui, magari su macerie di linguaggio, anche lui improvvisando in gruppo.

Sbordoni, insomma, appartiene a una situazione, a una situazione musicale romana, per cui infine il primo nome da farsi è quello di Evangelisti. Senza insinuare il sospetto di una “scuola” che fortunatamente non si è formata, si può parlare di un’area, di un comportamento compositivo di fronte alla musica di oggi, abbastanza comune a certi compositori di Roma, di cui ciascuno ha dato la sua versione.

Quella di Sbordoni è assai personale. Si assiste nella sua musica alla insistente presenza di forze centrifughe fatte di materiali spesso figurati in modo estremo, in tensione dentro una rigorosa forma compositiva chiaramente scandita, evidenziata, che proprio così, per la contraddizione che ospita e da cui è turbata, evita la monotonia dell’ordine formale. Non, c’è ordine, né evidentemente disordine, in questa musica: le categorie di questo tipo le sono estranee.

C’è piuttosto un rapporto tra le logiche dell’improvvisazione e quelle della costruzione, fra libertà (bisogno di essa) e disciplina (bisogno di essa). Perciò non è nemmeno una formula, una ripetizione. Mi pare anzi un modo, disponibile a variare di pezzo in pezzo, di essere musicista dopo le generazioni delle avanguardie storiche, quelle lontane e quelle vicine. Di arrivare, per capirci, non solo dopo Schoenberg, ma anche dopo Boulez. Il dilemma è stato appunto, lungo questo arco, fra disciplina e libertà, comunque si presentasse la questione del linguaggio, delle scritture musicali. In altri termini anche fra costruzione e improvvisazione. Dilemmi, però, rimasti vittime di uno schema di opposizione troppo rigido.

Sbordoni è di quei musicisti attorno ai trent’anni che vogliono e cominciano a uscirne; ed è interessante come ne esce. Non per le vie clamorose e deboli di quello che s’è fatto chiamare “neoromanticismo”. Sbordoni non ha risparmiato in proposito duri dissensi. Eppure la sua musica, e qui si ascolti Deux, Le parole del silenzio, gli altri brani, cerca e assicura il piacere di seguirne i percorsi e gli esiti. In realtà ciò è perfino ovvio, se il prodotto vuole essere musica da suonare. Ma il richiamo al piacevole ascolto, ha la sua ragione.

Restiamo pure ai pezzi che ci riguardano, benché almeno mi sia concesso di aggiungere Le geste et le symbole per orchestra, esemplare. Colpisce, e attrae, la loro base. Niente viene negato, e dunque per base intendo la presenza evidente, ma mai pedante, anzi felicemente giocata con estro, di meccanismi strutturali e seriali, che senza riprendere logiche di serie o strutturaliste finite, filtrano una tecnica irrinunciabile e infine garante anche di un linguaggio dove sentiamo presenti e in movimento, le energie contrarie, autonome, che (qui sopra) chiamavo centrifughe.

Così il fenomeno musicale è di reciproca trasparenza, di comportamenti in qualche modo sovrapposti che filtrano le rispettive immagini, in un interscambio di scopi musicali, compositivi, sempre riferibili al discorso su improvvisazione e costruzione. Né si tratta del resto soltanto di Sbordoni, che semmai rappresenta bene la coerenza e l’emancipazione dei discendenti. Ma davvero in Sbordoni si va profilando una chiarezza che molti ricercano e stanno trovando, che nella sua musica è già attiva, quella per cui non si tratta di confondere insieme, opportunisticamente, le regole del costruire e quelle dell’improvvisare: per apparire insieme inventivi e obbedienti. No, la chiarezza che ritrovo, che viene cercata, è diversa, riguarda chi ha capito, fino a capirne e praticarne il simbolo sociale conseguente, che libertà di improvvisare vuol dire al livello più alto della sua ragione concreta e della sua simbologia antagonistica, costruire, dare luogo a una nuova costruzione. Perciò le nuove strade musicali non possono essere abbandonate. Si deve invece lasciarsele indietro, proseguendole.

 

I pezzi compresi nel disco rientrano naturalmente nella cornice. Deux per flauto e pianoforte è di data recente, 1983. In tre parti, si presti subito attenzione alla prima. Pianoforte e flauto proseguono paralleli, non certo in contrasto, su due piani diversi. Il flauto alterna note tenute, immagini ferme, suoni acuti, fissi, a brevi figure di movimento, a gesticolazioni tese, spigolose, sempre (come tutta la parte) fra forte e fortissimo. Gli interventi sono a blocchi separati, sul o attraverso il pianoforte che invece scandisce senza interrompersi un modulo intervallare continuamente variato, cui un andamento toccatistico conferisce un’implacabile apparenza di meccanicità. Una lunga, impassibile articolazione di suoni, dura, anche aggressiva, di fronte o sotto le immagini così diverse del flauto. Effetti di straniamento? Certo ci si accorge che il lavoro compositivo è tutto sulla diversità dei timbri, incastonati l’uno nell’altro, senza fargli perdere l’efficacia della relativa identità. Lo straniamento, allora, se c’è sta qui, e il resto del brano è d’altronde conseguente.

Precedente, del 1981, è Le parole del silenzio, per pianoforte solo, dedicato a Giuseppe Scotese. E Scotese mette bene in vista la struttura e il suono del pezzo. Sbordoni cerca qui un suono definito, il suono per così dire radicale del pianoforte. Procede per gruppi di note, per figure di accordi ribattuti, semplici anche nella loro composizione, per disegni rapidi di note incatenate tra loro, ma durante gli otto minuti del lavoro c’è soprattutto molta attenzione a fare un uso articolato della tastiera, articolato nel senso di usarne le altezze in funzioni timbriche opposte a quelle che ci si potrebbe attendere. La scelta di un suono secco, fermo, non percussivo ma privato volutamente di sfumature e memorie impressionistiche e romantiche (le più tenaci, nel pianoforte), dà luogo a una dimensione di annullamento delle differenze consuete ai nostri orecchi fra eventi nei registri acuti ed eventi in quelli gravi, che fa pensare ad altri approcci strumentali di Sbordoni, singolarmente refrattari alle consuetudini sonore.

Dopo Les echos et les ombres per flauto solo del 1980, Tellus per contrabbasso solo del 1983-84 è dunque la più vicina delle composizioni qui incise. Rivela subito il suo intento. Unire alla bravura, di chi suona in primis, il puntiglio di non accontentarsi di essa. Più che mai l’idea dell’improvvisazione esce qui dalla trama di una sottile costruzione compositiva che fa da sfondo discreto, ammiccante, da tranquillante riferimento a un progetto strutturante. Parole e oltre per nastro magnetico, è infine, e invece, un lavoro piuttosto lontano. Rielaborato nel 1979, risale al 1976. Scopre un’inattesa disposizione a recuperare, tramite il mezzo insolito, suggestioni ed effetti altrove assenti, estranei. Pezzo di prova e di indagine, impiega per l’elaborazione materiali concreti come le voci, che anzi assumono in esso un ruolo centrale.

Luigi Pestalozza