Prefazione a “Improvvisazione oggi”
Improvvisare nel terzo millennio
Parlare di “Improvvisazione oggi” comporta un’attenta considerazione di ciò che dello “ieri” resti ancora valido, ma anche un serio interrogarsi sulle prospettive del “domani”. Lo stesso termine “improvvisazione” appare infatti ormai obsoleto e troppo generico, sicuramente inadatto a connotare i nuovi confini e le numerose sfaccettature oggi assunte dall’estemporaneità formativa col suono.
Dopo il ribollente fermento degli anni Cinquanta – Settanta, un nuovo fenomeno improvvisativo si sta delineando dalle ceneri del post-moderno e dell’oltre-moderno, per la cui comprensione si rende necessaria una prospettiva multidisciplinare, una convergenza di più campi di ricerca quali l’estetica, la psicologia, la musicoterapia, la prassi musicale.
Con la presente pubblicazione si tenta di fornire alcune riflessioni di base che consentano l’avvìo di una nuova interpretazione dell’atto improvvisativo che, coniugando il piano teoretico con quello pratico, metta in evidenza i contorni di un’improvvisazione che voglia essere allo stesso tempo formante e immaginativa. Le riflessioni in essa contenute sono sicuramente sbilanciate sul piano della prassi improvvisativa diretta. A parte due o tre interventi tendenti ad inquadrare le questioni teoretico-estetiche che l’improvvisazione inevitabilmente pone, l’intenzione sarebbe di dare la parola ai soggetti direttamente operanti, ai musicisti che a vario titolo – come compositori, come interpreti, come musicoterapeuti o psicologi – si servono appunto dell’improvvisazione come prassi operativa e creativa, proprio per mostrare come l’esigenza di una nuova riflessione sull’improvvisazione si ponga ormai ‘dal basso’, cioè dal concreto operare musicale della contemporaneità. Si vuole al contempo far presente alla musicologia l’importanza e anche l’urgenza di mettere a punto nuovi criteri di indagine, fornendo alcune indicazioni per individuare nuovi strumenti e nuovi metodi, che permettano di pensare l’attualità musicale in corso, dando modo di coglierne gli aspetti di grande novità.
Già nel ricco panorama dell’attività e della riflessione sull’improvvisazione degli anni Settanta alcuni autori si erano distinti per la messa a punto di nuove dimensioni di un pensiero musicale improvvisativo, creando alcune importanti premesse della situazione attuale. In particolare Franco Evangelisti aveva messo in risalto le relazioni intersoggettive tra i partecipanti ad un gruppo di improvvisazione, mentre Giacinto Scelsi aveva privilegiato da un lato l’emergere di immagini psichiche di varia natura, dall’altro aveva coinvolto nel suo stesso discorso creativo i musicisti con i quali collaborava. Ma anche Luigi Nono aveva inaugurato relazioni del tutto particolari con i suoi interpreti, di vera e propria elaborazione comune, mentre John Cage, Bruno Maderna e Domenico Guaccero avevano ragionato piuttosto sul lato formale, sul rapporto tra scrittura e apertura aleatoria delle partiture, anche per grandi organici.
A partire dalle riflessioni di questi autori sembra dunque possibile individuare le radici di una metodologia in grado di condurre ad una nuova prassi improvvisativa, allo stesso tempo consapevolmente immaginativa, intersoggettiva e formalmente strutturata.
Del resto anche il filosofo Luigi Pareyson negli anni Cinquanta aveva definito l’arte nel suo complesso come “formatività”, cioè come quel particolare modo di produrre “oggetti” e “azioni” consistente non solo nel predisporre di volta in volta gli scopi del proprio fare, ma anche articolando estemporaneamente da sé, nel corso stesso del fare, le norme dell’agire. A partire da qui Alessandro Bertinetto individua e svolge gli strumenti di una nuova riflessione estetica sull’improvvisazione, in grado di avvicinare tra loro gli esiti di generi musicali anche molto diversi quali la musica contemporanea, il jazz, la world music.
Da questa trasversalità tra generi del fenomeno improvvisativo muove anche Vincenzo Caporaletti, il quale però non solo individua nuove categorie musicologiche in grado di orientare la ricerca su un fenomeno musicale del tutto nuovo, ma qui per la prima volta le inserisce in un contesto formativo di tipo pareysoniano, creando interessanti collegamenti tra teoria estetica e prassi musicale estemporanea.
Sul piano psicologico si devono invece registrare come significative, ai fini di una esplicitazione dei meccanismi improvvisativi, quelle abilità che si determinano fin dall’infanzia e che ‘colorano’ in direzione estetica le scelte e le relazioni del bambino: ad esempio quando quest’ultimo ‘crea’ una situazione di attesa partecipativa, finalizzando così la propria attività nel tempo, “anticipando” nel gioco e riproducendo in maniera variata determinati comportamenti della madre. Osserva infatti Michel Imberty nel suo saggio, che porta alla luce un importante ‘archetipo’ improvvisativo:
“Si può così considerare che l’interazione madre-bambino è una specie di improvvisazione a due, specie di proto-forma delle improvvisazioni a due o a parecchi che si ritrovano in numerose culture musicali nel mondo – e particolarmente nel jazz. E nella musica improvvisata a due o a parecchi, come nel gioco a due o a parecchi, l’anticipo dello svolgimento della forma o della sequenza è meno preciso da come era scritto, testo e regole, ed è precisamente in questa indeterminazione che si annoda la tensione e l’emozione. È probabilmente anche là la sorgente del piacere musicale: (…) è la consapevolezza « di essere-nel-tempo », e questo tempo è quello dell’improvvisazione. Al punto che « improvvisare » è la condizione primaria della comunicazione intersoggettiva e della musicalità.”
Quello dell’improvvisazione si configura insomma come un argomento trasversale, che non si limita esclusivamente agli ambiti tradizionali di composizione/ esecuzione. I quali anzi si allargano a macchia d’olio, andando a toccare ogni parte della vita musicale e non, dalla sfera didattica alla musicoterapia e oltre, giungendo ad investire sfere significative dell’esistenzialità, fino al lavoro. La pratica dell’improvvisazione ha difatti un ruolo di primaria importanza non solo nell’ambito della formazione dei musicisti, ma anche della crescita delle relazioni interpersonali, la qualità delle quali può contribuire a migliorare notevolmente. Per qualunque musicista, imparare a improvvisare dovrebbe rappresentare una tappa fondamentale e imprescindibile in vista di una profonda presa di coscienza del proprio “essere musicista” e insieme anche del proprio “stare nel mondo”, mentre la creatività interattiva nel gruppo favorisce l’allontanamento da comportamenti autocentrati e ‘autistici’. Ecco perché il discorso assume anche una forte valenza musico-terapeutica e educativa.
Quanto avvenuto nel corso del Novecento, ovvero il progressivo venir meno di definiti confini tra la figura dell’interprete e quella del compositore, ha portato inoltre l’interprete che si dedica al repertorio contemporaneo ad inaugurare sia una ricerca sulle tecniche esecutive e strumentali non convenzionali, sia un approccio articolato all’esecuzione stessa, il cui carattere saliente, oltre all’“apertura” in senso aleatorio e formale, è spesso costituito da una elaborazione condotta in stretto rapporto col compositore, a volte in modo talmente simultaneo, che si potrebbe definirla una “co-elaborazione”.
Forse è proprio per questo rilevante allargamento delle competenze e degli orizzonti dell’interprete, dalla partitura scritta fino alla performance, che molti degli interpreti “specialisti” hanno anche assunto nella loro condotta artistica la pratica dell’improvvisazione, operando in territori di confine, in zone di permeazione di diversi linguaggi e discipline. Non può dunque mancare il punto di vista di alcuni interpreti che sono stati protagonisti storici di questa nuova esperienza esecutiva. Tra i tanti interpreti che hanno operato in questo senso sono qui presenti Roberto Fabbriciani e Giancarlo Schiaffini, con una testimonianza assai significativa della loro lunga attività ed esperienza.
Nella terza parte della pubblicazione vengono presentate alcune testimonianze legate a pratiche concrete, pertinenti all’interpretazione concertistica all’analisi musicologica e alla didattica, dalle quali emerge la grande rilevanza e la multiformità del fattore improvvisativo appunto in ambito didattico e formativo, musicologico, concertistico. Ovviamente la scelta è stata limitata dallo spazio a disposizione, tante altre iniziative importanti sarebbe stato opportuno inserire, ma ci auguriamo che questa pubblicazione costituisca solo l’inizio di uno scambio e l’avvìo di un dialogo a più voci quale si addice all’improvvisazione, settore quanto mai vivace e dotato di mille sfaccettature della prassi musicale contemporanea.
Il “nuovo fenomeno improvvisativo” infatti, che per quanto riguarda l’aspetto strettamente compositivo ho deciso di definire “comporre interattivo” per sottolinearne proprio l’aspetto di formatività estemporanea intersoggettiva, si colloca in definitiva all’interno di un più vasto fenomeno sociale di estemporaneità comunicativa, il quale abbraccia ormai il pianeta nella sua globalità. L’arte di oggi deve saper interpretare e in qualche modo gestire questa nuova domanda, questa richiesta profonda che emerge dal sociale, introducendo una qualità alta dell’atto comunicativo e quindi rispondendo a suo modo alla sfida, che oggi la sua società le pone.
Alessandro Sbordoni