Libertà dialogica del pensiero musicale.
Alessandro Sbordoni
In ADAMO E LA NUVOLA, catalogo dell’omonima mostra di PLUS ARTE PULS – ottobre 2016
Non ci si può più nascondere la complessità e l’ampiezza raggiunte nell’attuale società globalizzata dalla comunicazione estemporanea interattiva. Computer, telefoni cellulari e televisioni hanno rivoluzionato più di una abitudine ed impresso un ritmo impressionante alla velocità dello scambio comunicativo interpersonale. Viene perciò spontaneo domandarsi se si tratti di un fenomeno destinato a rimanere confinato in un ambito puramente tecnologico e sociologico, o se in qualche modo esso si rifletta anche all’interno della formatività artistica.
Ritengo che la sfida che l’attuale società globalizzata pone alla sua arte comporti perciò primariamente di riconoscere il ruolo centrale svolto al suo interno dalle dinamiche comunicative: l’interazione comunicativa è infatti solitamente radicata nel quotidiano e nelle sue necessità spesso effimere, anche se non per questo meno importanti. Ciò significa però che si rende sempre più necessario porre al centro dell’attenzione una formatività artistica ispirata all’estemporaneità, anche con lo scopo di portare contenuti di alto spessore all’interno della comunicazione stessa. Esistono valori significativi che troppo spesso vengono trascurati nel fitto intrecciarsi dell’interscambio quotidiano, tra cui, in primis, la qualità della comunicazione stessa.
Il cambiamento di pensiero oggi richiesto non solo ai musicisti ma agli artisti e alla cultura in genere è davvero sostanziale. Almeno nel pensiero musicale, che è propriamente quello per cui sarei qualificato a parlare e a cui perciò farò riferimento, si sta palesemente affermando, almeno dalla seconda metà del secolo scorso, un nuovo paradigma compositivo, se non addirittura un nuovo orizzonte: il cambiamento è talmente radicale da riverberarsi non solo sulla creatività musicale in quanto tale, ma anche sulle strutture che ne permettono l’esistenza storica, riunendo insieme problematiche di carattere economico, infrastrutturale, culturale ed educativo, sociale.
Limitandoci dunque all’ambito musicale, e anticipando una possibile conclusione, oserei dire che si sta riconfigurando propriamente l’atto compositivo stesso, sia in senso poietico che in senso ricettivo, estesico. L’aspetto più innovativo consisterebbe anzi nel fatto che questi due momenti tendono sempre più a identificarsi, a riunirsi, non essendo più esercitati in momenti diversi e da soggetti diversi, come normalmente avveniva nella società classica e tuttora avviene nei modi istituzionali di esistenza della musica e dell’arte in genere: essi tendono sempre più ad esercitarsi in stretta interazione reciproca in atto. Anche nell’arte in altre parole si sta modificando lo stesso modello di processo comunicativo, il quale, invece di vedere separati da una parte il compositore e dall’altra l’ascoltatore passando per i complessi snodi dell’interpretazione e dell’esecuzione, vede sempre di più interagire dinamicamente queste due figure, le quali si riuniscono in una interazione dialogica che diventa perciò fissabile su un qualsiasi supporto soltanto a posteriori, cioè nel corso del suo farsi (registrazione) o dopo essere avvenuta (partitura). Ciò rimette in discussione, insieme con la figura dell’autore, le stesse modalità attuative della creatività musicale, favorendo l’instaurarsi di un pensiero musicale estemporaneo e dinamico rispetto a forme chiuse e scritte una volta per tutte.
Se però si deve parlare della possibilità di una formatività artistica interattiva, cioè di tipo dialogico, ed estemporanea, allora si aprono almeno due serie di complesse problematiche: innanzitutto l’aspetto formativo tout court, cioè se e come sia possibile un’opera compiuta e dotata di senso a seguito appunto di una formatività estemporanea ed interattiva; e poi l’aspetto più propriamente stilistico, chiedendosi come sia possibile che in una creatività che potremmo definire plurale, cioè esercitata simultaneamente da molti, venga salvaguardata la profonda intenzionalità formativa del singolo, che rimane comunque ‘il’ valore fondamentale della formatività artistica.
Le due condizioni in questione configurano dunque la necessità di intrecciare una orizzontalità dell’atto formativo da un lato, in quanto esso viene esercitato simultaneamente da più persone, e una sua verticalità dall’altro, in quanto esso sarebbe l’esito di una convergenza di più intenzioni e stili formativi singoli. I quali soltanto, per riprendere la celebre teoria di Luigi Pareyson, sarebbero in grado di dare luogo ad una piena e totale espressività, a ciò che Pareyson definisce come uno stile, unica istanza in grado di esprimere la weltanschauung e la personalità profonda della singola persona.
Solo a patto che siano compresenti entrambe queste condizioni può darsi una nuova formatività, che nel suo attuarsi estemporaneo di momento in momento si ponga su un piano superiore a quello di una semplice interazione comunicativa, assurgendo al rango di una creatività che potremmo così definire dialogica.
Ma la semplice giustapposizione delle due dimensioni verticale/orizzontale non è ancora sufficiente a configurare pienamente una dialogicità della prassi compositiva. Affinché si possa parlare di arte è infatti necessario raggiungere esiti di bellezza, ma allora qui non può più trattarsi di una bellezza statica, come tradizionalmente avviene nella contemplazione di un oggetto esterno al soggetto osservante – bensì di una bellezza dinamica, che vuol dire libera.
Un pensiero musicale dialogico, che avviene cioè tra più soggetti, rimette in discussione lo stesso fare musicale, affinché esso diventi un fare compositivamente libero: libero perché basato su una ricorsività esplicita e consapevole dello stesso fare, e quindi intersoggettivamente formante ed estemporaneo insieme nell’atto stesso del suo farsi. La libertà nasce dal dedicarsi a un compito sgorgante da una immaginazione profonda, che venga poi realizzato mediante le modalità (formative) che esso stesso richiede al momento. I performer assumono liberamente il compito che sentono come il loro, ma lo realizzano secondo norme e regole che essi stessi hanno trovato collettivamente, a seguito di un incessante lavoro di messa a punto. In questo senso l’accettazione e l’applicazione del compito e della normatività, la realizzazione cioè dell’opera compiuta, diventano un riferimento etico tanto più importante perché sono il risultato di una ‘scoperta’ che i performer-artisti stessi decidono se e come realizzare, senza alcuna imposizione dall’esterno.
In ciò consiste il possibile avvento di una nuova bellezza: nell’estemporaneità di relazioni interpersonali che siano in grado non solo di interagire comunicativamente, ma anche di sentirsi come totalità e quindi di dialogare nel senso forte del termine, a seguito di tutto un lavoro di ricerca nel profondo di ogni soggetto e poi di una elaborazione comune. Ciò significa esercitare una creatività formativa consapevole di ciò che si va compiendo tanto nell’orizzontalità dello scambio intersoggettivo quanto nella verticalità dell’emersione di immagini mnemoniche, scopi poetici, materiali e metodi applicativi condivisi. Non a caso Franco Evangelisti, che va collocato tra i profeti di un nuovo paradigma di pensiero musicale, sosteneva che le relazioni tra i suoni vanno sostituite con le relazioni tra persone.
Se si vuole che l’aspetto etico della libertà rinasca compiutamente attraverso quello estetico, raccogliendo dunque la sfida di cui parlavo sopra e recuperando all’espressione artistica una capacità vera di influire sul sociale, si pone la necessità di un comporre sempre più dialogico, cioè di un pensiero musicale saldamente radicato nella piena coscienza delle sue radici immaginifiche ma anche al tempo stesso pienamente strutturante nell’estemporaneità e concretamente attuativo nella realtà contestuale.